Ammirare don Felice per vivere il Vangelo
Dopo questo cammino fatto insieme per approfondire la conoscenza della vita e delle opere del Servo di Dio don Felice Canelli è importante ora lasciarsi interpellare dal suo stile di vita evangelico per passare dal sentimento di ammirazione al coinvolgimento.
Data l’indubbia abnegazione di don Felice a favore dei poveri e dei bisognosi, in ogni articolo si è potuto apprendere come don Felice fosse un uomo votato totalmente e senza tentennamenti alla causa di Dio e dei poveri che sentiva fratelli e dai quali era considerato un padre tenero e forte.
Commovente era il suo immedesimarsi nella vita dei sofferenti, dei malati, dei senza lavoro e il suo farsi avvocato dinanzi alle autorità civili e politiche per perorare la causa degli sfrattati e dei nullatenenti. È davanti agli occhi di tutti la sua carità senza limiti che si dispiegava per rispondere con sollecitudine alle vere e urgenti necessità dei bisognosi di pane e di Dio e per educare in quasi cento anni di storia generazioni di uomini e donne a vivere il comandamento dell’amore. Tutti erano ammirati e lo siamo ancora noi oggi quando apprendiamo che nella festa diocesana del cinquantesimo di don Felice e del venticinquesimo della Parrocchia che fu celebrata il 9 agosto 1953 gli venne riconosciuta pubblicamente la sua abnegazione nel trasformare una piccola chiesa di campagna in un centro di raccolta e di riferimento per tutti quelli che avevano bisogno di una buona parola e di aiuto per superare i problemi della vita quotidiana. In quell’occasione venne allestita una mostra che esemplificava con disegni, voci e numeri tutta la mobilitazione di carità con cui don Felice animò la sua parrocchia e le associazioni diocesane nel secondo dopoguerra. Era di 120.265 il totale delle persone sfamate dal 1946 al 1953. Certamente destava meraviglia e stupore un uomo piccolo ed esile ma gigante nella carità che si fece l’anima di un movimento di bontà e di generosità tra i suoi conterranei coinvolgendoli nelle opere di solidarietà.
Il rischio però che è sempre in agguato per noi oggi è renderlo così “meraviglioso” da non poter seguire le sue orme; troppo “speciale” per non lasciarsi coinvolgere in un’esperienza trasformante che partiva dalla preghiera ai piedi del Tabernacolo, passava dal suo farsi pane spezzato come Gesù e si compiva nell’incontro con i fratelli in difficoltà in cui vedeva il Volto del Signore da amare e servire! Sarebbe un errore affermare: “Eh, ci vorrebbero tanti don Felice!!!” come se il buon esempio, la generosità, la bontà dovessero partire sempre da un altro e mai da noi. Ciascuno di noi può essere “un operatore di bene” nel suo piccolo, con gesti semplici. Basterebbe andare a trovare quella famiglia nel nostro condominio che vive un tempo di fatica oppure compiere un piccolo gesto di attenzione verso chi è solo. Don Felice ci direbbe che la vita del dono di sé nella logica del Vangelo è possibile ed è a portata di tutti: «L’amore è l’essenza pratica del Vangelo. L’amore è un sorriso, un pane, un consiglio buono, una stretta di mano, è il riconoscere nel prossimo il proprio fratello. Vivere la carità vuol dire donare e donarsi per amore di Dio e del prossimo».
Sr. Francesca Caggiano
La Vice postulatrice