Don Canelli e l’orologio del Re
Don Felice, fedele al comandamento dell’amore: “Ama Dio con tutte le tue forze e il prossimo come te stesso”, viveva in prima persona i drammi della sua gente e soccorreva tutti i poveri e i dimenticati che andavano a bussare alla sua porta. Il numero delle cambiali che aumentavano giorno per giorno non lo fermavano. Non era un uomo ingenuo e superficiale ma un vero credente: si fidava di Dio, della generosità dei buoni e dell’ingegno umano. Le sue tasche erano sempre vuote. I soldi che entravano, uscivano subito perché erano già promessi a qualcuno che era nel bisogno. Gli piaceva paragonarsi ad un canale e non a un pozzo. Il pozzo raccoglie l’acqua con il rischio di farla stagnare, il canale invece lascia passare l’acqua senza trattenerla per sé. Don Felice era nato povero e quotidianamente sceglieva di non essere attaccato ai beni materiali per poter donare tutto a gli altri in nome della propria fede. Per avere del denaro, affrontare le spese e comprare i beni di prima necessità, bussava alle porte degli ambienti più svariati: coinvolgeva i benestanti di San Severo, l’amministrazione comunale, le associazioni ecclesiali diocesane e parrocchiali, gli esponenti dei partiti, senza alcuna differenza di colore. Era conosciuto, stimato e ammirato in città per la sua fede incrollabile in Dio e la sua fiducia nell’uomo. Sì, credeva nella bontà del cuore umano, al di là di ogni ideologia. Ne era certo: i buoni si trovano ovunque. Un giorno, per esempio, nei difficili anni Cinquanta era andato in Comune dal Sindaco, l’Onorevole Pelosi, noto comunista locale, per chiedere un sussidio per un’opera assistenziale ed educativa per i figli del popolo: un asilo. Vi erano più di 200 bambini al giorno a cui assicurare il pranzo. Purtroppo in quel periodo tanto difficile non riceveva nessun aiuto in generi alimentari o sussidio dagli enti assistenziali. Trovandosi in queste ristrettezze a mezzogiorno fece portare ai piccoli il panierino da casa. Alcuni però avevano il pane con il companatico ed altri solo un po’ di pane. Per evitare questa “ingiustizia”, don Felice diede la stessa refezione calda a ciascuno. E le spese? Il Sindaco e la giunta comunista lo appoggiarono e non solo una volta. Don Felice lodò i loro nobili sentimenti affermando che il provvedere all’assistenza integrale dei figli del popolo era una testimonianza squisita di carità sociale. Un’altra volta nel 1933, don Felice scrisse al re Vittorio Emanuele III chiedendogli un dono per una lotteria a favore dei poveri, in particolare per la costruzione di un ambiente dell’Asilo Trotta in cui le Figlie di Maria Ausiliatrice si prodigavano per l’educazione dei piccoli del ceto popolare. S. M. il Re, per risposta, gli mandò un magnifico orologio da tavola. In poche ore vennero venduti in città più di diecimila biglietti e l’incasso superò le diecimila lire. L’orologio del Re fu vinto da una giovane ragazza indigente. Ma la vittoria del cuore e della bontà fu di tutti. È vero: l’orologio d’oro rese più luminosa una delle numerose case spoglie e fredde della città, ma la gioia di aver contribuito ad un futuro più bello per i piccoli del paese fu superiore ad ogni regalo reale.
Sr Francesca Caggiano
La Vice postulatrice