Gli ultimi giorni di don Canelli
Il 30 ottobre 1977, pochi giorni prima della caduta fatale che lo portò alla morte, don Felice celebrò il quarantesimo di fondazione della Conferenza di san Vincenzo e, con il suo solito ardore, chiese ai presenti di continuare ad alimentare la fiamma della carità e dell’amore vicendevole che Gesù era venuto ad accendere sulla terra (cf. Lc 12,49) e ad educare il popolo alla solidarietà con l’esempio di una vita spesa nella logica del dono gratuito. Il 2 novembre per una brutta caduta in casa si ruppe il femore e venne ricoverato. Alla notizia, il popolo si riversò nell’Ospedale Teresa Masselli per visitarlo. Fu una continua manifestazione di amore e di venerazione verso don Felice da parte dei parrocchiani e del popolo sanseverese. Il suo desiderio era di salutare tutti ma era impossibile. Allora preparò un saluto scritto e lo fece leggere alla Radio Locale. Nel testo ringraziava tutti per le premure ed invocava sul paese la nascita della civiltà dell’amore e della fraternità. Ai figli spirituali più vicini raccomandò di tenere sempre accesa la fiamma della carità, di impegnarsi nella catechesi dei piccoli e dei grandi e di impegnarsi per la pace e la fratellanza tra i cristiani. Il 23 novembre la situazione clinica di don Felice peggiorò. Era verso cena del 23 novembre. Don Felice fece cenno di voler andare alla finestra quasi per parlare con il cielo e allargando le braccia ad alta voce disse: “Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo” e spirò. Erano le 20,11. Nel paese le campane suonarono a festa e il popolo comprese l’accaduto. I funerali si svolsero il 25 novembre. La giunta socialcomunista proclamò il lutto cittadino. La Cattedrale era gremita di una fiumana di gente fino all’esterno della piazza antistante. C’erano tutti: bambini, giovani, anziani, abbienti e poveri, cattolici e marxisti, amministratori comunali e autorità religiose, politiche e militari. Nessuno volle mancare al momento dell’addio di un uomo che con la sua testimonianza di amore aveva segnato profondamente la sua terra! Il corteo funebre fece il giro esterno della città e ci furono manifestazioni di affetto come quando si porta per le strade cittadine il simulacro della Madonna del Soccorso! Con uno sventolio di fazzoletti bianchi nella piazza antistante di Croce Santa, don Felice venne salutato per l’ultima volta dal popolo e si proseguì alla tumulazione nella cripta. Il popolo piangeva perché aveva perso il “Padre dei poveri”. Don Felice era stato venerato da tutti come Sacerdote, Pastore e Padre; ammirato per quasi cento anni come Consolatore dei miseri; sentito come Amico e Maestro; riconosciuto come Benefattore leale e generoso, ricordato come Umile e Grande, povero per sé e ricco per i bisognosi. Tutti in città e in provincia riconoscevano nella sua vita totalmente spesa per la Gloria di Dio ed il bene dei bisognosi il sigillo inconfondibile di Gesù che era passato «facendo del bene a tutti» (At 10,38).
Se è vero che si muore come si vive, don Felice anche sul letto dell’ultimo dolore ancora una volta non penso a sé stesso ma agli altri, all’amore scambievole nel nome di Gesù, al sogno della fraternità e della pace, alla lode generosa degli altri considerati “figli” fino alla Lode senza fine Padre che è nei cieli, fonte della fraternità universale senza esclusioni. Il suo letto dell’ultimo e definitivo passaggio diventò una cattedra dalla qualedon Felice ci parla ancora: al primo posto deve esserci sempre l’amore, il bene dell’altro e la carità perché il pericolo più grande è il non amare.
Sr Francesca Caggiano
La Vice postulatrice