03 Maggio 2024
La ‘soglia’ della fede di Pietro…
Dopo quasi un anno torno sulla tomba di Pietro. E questa volta con la ricchezza dei mesi vissuti a San Severo e non più solo, ma insieme con gli altri fratelli vescovi della Puglia. Porto con me i tanti volti che fino a poco tempo fa non conoscevo. Stavolta, mi sento più leggero, senza il tumultuoso assillo dei timori e dell’ignoto, e carico di un mandato che ormai prende forma giorno dopo giorno. Sono a Roma e con me c’è tutta la chiesa locale che il Signore ha voluto donarmi perché l’amassi e la servissi con tutto me stesso.
E puntualmente, ancora una volta, il Signore mi ha affidato le coordinate del mio ministero, incise con caratteri cubitali in uno degli altari laterali della Basilica di San Paolo fuori le mura, la prima che abbiamo visitato e nella quale abbiamo pregato: vas electionis!
Un richiamo che mi ha rimandato alla verità di me stesso, quella che non posso mai dimenticare, quella da cui non potrò mai più prescindere. Lì, sotto l’iscrizione, ho trovato la raffigurazione di Saulo, caduto a terra sulla via di Damasco, e che sulle vie della diocesi sta dando forza al nostro percorso di fede, ricordandoci che ricominciare è possibile e diffidandoci dal presumere di vedere bene, soprattutto se manca la luce di Cristo.
Sono giunto nella “Città eterna” che mi pare tale perché contiene quel forte messaggio che sento giungere con chiarezza proprio a me. Quella mia prima giornata ormai è stata illuminata da quel raggio divino, avvolgendola di un calore indescrivibile nel momento in cui venivo chiamato con quel ‘nuovo’ nome: “vaso di elezione”.
Un vaso di terracotta! Fragile, di poco valore, ma soprattutto capace di conservare la duttilità che gli è propria, specialmente quando si profila l’incauta possibilità di considerarsi resistente quanto il ferro. La modestia di quel fango plasmato non mi permette di rivendicare requisiti particolari, elementi meritori. Sono terra: è la prima verità che a Roma, come nella storia sacra raccontata dalla Bibbia, mi viene rivelata.
Alle ansie del prime ore dello scorso anno, subentra la certezza che il segreto della mia esistenza e della mia missione non è in me, non può essere in me. Il Signore mi chiede un profondo e sincero atto di umiltà, collirio necessario e potente per far cadere le squame dagli occhi e vedere finalmente la verità di me stesso. Sono un piccolo grumo di fango che Egli plasma per amore e con amore; terra che da sé non può nulla se Lui non la prende a carico e la modella.
Capisco allora che il miracolo d’amore che sta rendendo straordinaria la mia vita, donandole una bellezza immeritata, sta nel modo in cui Egli si pone verso questo pugno di creta. Egli mi ha scelto, conferendomi la dignità dell’oro. Mi ha eletto per affidare alle mie povere mani, al mio povero cuore la ricchezza della sua presenza e del suo amore.
Vaso di creta ed elezione divina: due esperienze che rivivo ogni giorno. L’una richiama la mia nullità, l’altra la grandezza del mandato apostolico che il Signore ha voluto affidarmi.
In quel primo appuntamento è stata davvero grande la parola rivoltami da Dio, nel silenzio di una delle quattro basiliche maggiori della capitale, e in tutti i giorni successivi la mia mente non è riuscita a pensare ad altro. Non serviva pensare ad altro, perché avevo riscoperto il profondo segreto della mia vocazione.
A papa Francesco, poi, che ci attendeva per accoglierci, per ascoltarci e per confermarci nella nostra missione ho parlato della ricchezza umana della Capitanata che, pur segnata dalla povertà e ferita da non poche criticità sociali, annovera tante persone buone e generose. Gli ho parlato, poi, dei sacerdoti con i quali mi sforzo di servire ogni giorno questa diocesi. E quando ho fatto cenno che con loro vorrei imparare a vivere una “responsabilità condivisa”, egli, con un sorriso di compiacimento, mi ha interrotto, dicendo: “questo mi piace! Sì! Responsabilità condivisa!”. È la preziosa consegna che il papa mi ha dato e con la quale ritorno in diocesi.
Non posso omettere la sorpresa di esserci scoperti, tra noi vescovi pugliesi, amici. Franchezza, accoglienza, semplicità e gioia hanno animato le nostre giornate piene di fede e ricche di comunione ecclesiale. Si è fatta evidente ai nostri occhi la decisiva importanza di muoverci insieme, come in una cordata, non perdendo mai di vista da una parte il punto esatto dove mettere i piedi mentre si sta per fare un passo successivo, dall’altra la meta cui orientarci e orientare, insieme a noi, le nostre rispettive comunità.
Ad limina Petri… è significato per me giungere ad limina fidei, alle soglie della fede di chi mi ha preceduto, di Pietro, degli Apostoli e dei suoi successori. Quella ‘soglia’ è il limite ultimo perché segnato dal dono della loro vita, ma per questo, non di meno, è per me il punto da cui ripartire, proteso, a mia volta, a donare anche la mia. Di fede in fede…
+ don Giuseppe