19 Maggio 2024
OMELIA DI S.E. MONS. GIUSEPPE MENGOLI IN OCCASIONE DEL PONTIFICALE IN ONORE DI MARIA SS. DEL SOCCORSO. 18 MAGGIO 2024
Dalla preghiera impariamo che tutta la storia è sacra, così come sono sacri la nostra vita, le nostre relazioni, il nostro lavoro. Se non possiamo fare a meno di pregare vuol dire che di Dio abbiamo bisogno, quanto l’aria che respiriamo. È questa una delle certezze più importanti per chi crede, il quale non attira gli sguardi su di sé, ma rimanda costantemente a Colui nel quale ha posto la sua fiducia, perché quella fiducia lo tiene in piedi e gli dà forza in ogni situazione.
È esattamente ciò che ha fatto la Vergine Maria. Lei non era piena di sé, non ha cercato nemmeno un attimo di gloria, ha solo lasciato campo libero al Signore, fidandosi di Lui, scoprendo quanto fosse essenziale la sua presenza per una vita pienamente realizzata e accogliendo umilmente la sorpresa del suo progetto di salvezza per ogni uomo.
L’alternativa di una vita con o senza Dio, così, ci mostra come al cieco orgoglio di appoggiarsi solo su se stessi debba subentrare il sereno atteggiamento di chi spera e si fida del Signore. Speranza e fiducia in Lui, dunque, come ci ha insegnato Maria che nell’arco della sua esistenza non ha mai protestato perché si è sentita amata e ha sperimentato che quell’amore divino rendeva belle le sue scelte, anche quando il loro prezzo era alto.
Ma, come sul volto e negli occhi della Vergine si leggono fede cieca e speranza viva, il nostro volto e i nostri occhi molto spesso dicono purtroppo disillusione, scontento, stanchezza, rabbia… Il cambiamento del nostro modo di vedere dovrà essere, di conseguenza, il più grande miracolo che oggi vogliamo chiedere alla nostra madre celeste. Un miracolo che sarà possibile solo nella misura in cui sapremo accogliere la grande sfida che proprio Lei oggi ci affida.
E la sfida è questa: imparare a leggere i nostri vissuti, anche quelli più faticosi e drammatici, in modo diverso e nuovo, così che, anche se apparentemente ci rimandano ai rantoli di un moribondo, in realtà possano esprimere le “doglie di un parto”, come ci ha ricordato san Paolo nella seconda lettura. Se un diffuso catastrofismo, infatti, è incline a vedere anche nel nostro contesto sociale l’approssimarsi di un’esorabile fine, solo un vigile ed ostinato sguardo di fede in Colui che può tutto, riesce a cogliere nelle stesse ore e nelle stesse situazioni, i primi raggi di un nuovo giorno, di una vita nuova.
Ma, a scanso di equivoci e rifuggendo ogni forma di vuota retorica che smentirebbe la concretezza del mistero divino che stiamo celebrando in questa assemblea, voglio lambire alcune situazioni che se supinamente potrebbero farci cedere ad un soffocante scoraggiamento, diventano, in realtà, preziosi nuovi punti di partenza, facendo leva sul fatto che il Signore non abbandona mai la sua terra. La nostra fede infatti non dovrebbe mai narcotizzarci, quanto ridarci piuttosto quella passione interiore che quando è vera e forte è in grado di cambiare prima noi stessi e, di riflesso, chi ci sta accanto. E stasera vogliamo giungere proprio alla soglia di questo cambiamento che il Signore stesso desidera per noi, allora, alla soglia di un cambiamento che, però, dipende anche da noi e che non ammette più dilazioni. Ma noi da quale parte stiamo? Dalla parte dei rassegnati o da quella degli intrepidi? Dalla parte di chi lancia lo straziante grido della disfatta, della fine o da quella di chi crede e si accorge che qualcosa di nuovo sta avvenendo, anzi è già avvenuto ed è l’incarnazione del Verbo di Dio?
Sento le “doglie del parto” proprio in noi e nel nostro modo di essere chiesa. Non posso negare di aver già registrato, infatti, in questo primo anno, nell’intera comunità diocesana, sinceri slanci interiori. Accanto alla fede sincera e alla generosa disponibilità di molti, scorgo, tuttavia, il diffuso rischio dell’omologazione con il contesto culturale in cui viviamo. Rischiamo, cioè, di ascoltare più le facili lusinghe del mondo, che le indicazioni del vangelo; cadiamo nella trappola di lasciarci attrarre più dalle immediate e terrene sicurezze, più che vivere il liberante momento di affidarci al Signore Gesù. Preferiamo rinchiuderci in rasserenanti circuiti, più che entrare nel rischio di fidarci di Colui che ci chiede di percorrere strade nuove, scelte diverse.
Ogni forma di omologazione, però, appiattisce, toglie vigore alla profezia, fino a farla morire. Consapevoli quindi di essere un po’ spenti, un po’ demotivati, ci affidiamo alla Vergine del Soccorso, perché le nostre coscienze non muoiano e dall’interno di esse nascano forti spinte di autenticità, di fedeltà, di coerenza al vangelo, spinte capaci di arginare la diffusa ricerca dei compromessi.
Il freddo della mediocrità e l’insignificanza di un’esistenza piatta, allora, risveglino, per contrasto, l’esigenza di una nuova primavera. Il passaggio dall’inverno alla primavera non è immediato, a tratti è anche faticoso e assomiglia alle vere doglie del parto. Ma proprio quelle doglie saranno i primi sintomi necessari della nostra conversione, quella che spesso rimandiamo per paura e che perciò tarda a venire. Con onestà morale e per poter fare sul serio, dovremmo chiederci ora che cosa dicono di noi il nostro stile, le nostre giornate, le nostre scelte? Potremo anche ostinarci a idealizzarci proteggendoci in un falso sé, infatti, ma la più sincera verifica si trova su come il nostro vissuto ci presenta agli occhi degli altri.
Vedo le “doglie del parto”, quando rivolgo lo sguardo al mondo dei giovani, dei tanti che in questi giorni, in occasione della festa, si riversano sulle strade e nelle piazze. È un fatto apparentemente inspiegabile, ma che non può essere banalizzato. Esprime un’esigenza, un’attesa che siamo chiamati a riconoscere, ad accogliere e a non deludere. La loro presenza durante la festa mi sta facendo capire che siamo tutti chiamati a essere verso di loro una comunità in gestazione. Non possiamo tirarci indietro davanti al presentarsi dei travagli educativi del parto sociale ed ecclesiale dei giovani uomini alla vita. È un nostro preciso e urgente dovere. Ognuno di essi ha un gran bisogno di verità e di senso, possiede attese e sogni, ha tanta voglia di vivere. Su nessuno dei loro volti è legittimo leggere la parola fine, soprattutto quando ci chiedono di camminare insieme a loro.
Anche nelle famiglie si vivono “le doglie del parto”. Per esse i tempi non sono facili. Alla disgregazione anche ideologica di esse subentra un progressivo autismo generazionale, alla precarietà delle loro condizioni materiali si affianca il diffuso isolamento cui sono costrette. Eppure non è la fine per loro. Non può essere la fine, perché ne abbiamo tutti bisogno. E ciò basterebbe a esigere tutto l’impegno possibile a custodirle e a difenderle.
Ad avvalorare e a sostenere una nostra unanime reazione davanti a tutte le minacce familiari ci viene incontro un’intuizione di San Giovanni Paolo II che affermò con forza che “la via della chiesa è la famiglia”. Un via, poi, è fatta per essere percorsa, non per essere evitata. Specie se a indicarcela, oggi, è proprio la Vergine Maria.
Ma quali sono i segnali che ci dicono che stiamo percorrendo davvero la via della famiglia? Certamente non quelli di chi si limita a ripetere in maniera altisonante le vuote affermazioni di circostanza, imbastite di valori ormai fin troppo noti, ma i segnali di chi nel quotidiano vive il senso del sacrificio, la capacità di ascolto, il costante senso di cura specialmente verso chi è più debole, l’istinto affettivo di far proprie le gioie e le sofferenze dell’altro e quello di condividere con fiducia le proprie, la prontezza al perdono. Da qui si parte, fratelli. Da qui possiamo e dobbiamo partire. E subito anche.
Se il mio pensiero va agli ammalati e agli anziani… anche in loro vedo “le doglie del parto”. Ho scoperto che in loro il corpo invecchia, ma il cuore no. Il loro carisma, infatti, è che sanno amare di più e meglio di noi, avendo affinato nel tempo i sentimenti; continuano ad amare anche davanti ai lunghi e certamente non previsti abbandoni. Sanno amare ancora e attendono, spesso in silenzio, di essere ancora amati… La loro saggezza e la loro esperienza arginano uno stile troppo utilitaristico e frettoloso che li considera ormai pietre di scarto, relegandoli in drammatiche solitudini. Anche noi, infatti, alla maniera spartana, cadiamo spesso nelle trappole selettive che escludono e marginalizzano i più deboli.
Anche il nostro territorio vive “le doglie del parto”. Il nostro modo di guardare le risorse del nostro territorio, infatti, può essere condizionato purtroppo dal pregiudizio che le cose non cambieranno mai. Ma possiamo invocare dalla Vergine il coraggio di guardare la nostra Capitanata con occhi nuovi e con l’ostinato desiderio di rinascere. Ma non può mancare l’unanime volontà di abitare la crisi e di predisporci a vivere le doglie del parto, per evitare di rimanere ripiegati su noi stessi a leccarci le ferite sociali che purtroppo non mancano e che causano importanti emorragie, facendoci cadere nel baratro dello scoraggiamento e dell’implosione. Sognare insieme, quindi, e soprattutto a saper trasformare i sogni in grandi decisioni.
Non può sfuggire al nostro sguardo la presenza anonima di migliaia di fratelli che vengono dal Sud del Mondo, che vivono ogni giorno “le doglie del parto”. Sono nostri fratelli e nostre sorelle, che spesso purtroppo è come se per noi fossero senza volto, come le figure del pittore contemporaneo belga Magritte… Ma per noi, davanti allo sguardo di Maria, che è madre di tutti e non solo di alcuni, cosa vogliamo ammettere: questi nostri fratelli africani sono un problema o una risorsa? E se sono una risorsa, sono una risorsa da sfruttare illecitamente o da valorizzare per quella dignità umana che è esattamente uguale alla nostra?
Verso di loro, perciò, accoglienza fraterna o rapporti di vassallaggio, segnati da intollerabili macro-ingiustizie? Valorizzazione delle loro storie personali o logica del più forte che vede noi ad avere il coltello dalla parte del manico? Da cosa dipende? Da chi dipende? Da noi… dai nostri occhi… dal nostro modo di guardare… e la fede cristiana cosa dice a proposito? La Madonna del Soccorso, la nostra Madonna nera, cosa ci dice? Domande queste che non potranno rimanere senza risposte.
Oggi, cari fratelli in Cristo, è la vigilia della grande festa della Pentecoste, il giorno in cui c’è una radicale e definitiva inversione di prospettiva rispetto alle previsioni storiche. Con la Pentecoste siamo abilitati a vivere sempre e solo nuovi inizi. Da oggi non possiamo più considerare credibili le letture pessimistiche e gli annunci di sventura. Con la Pentecoste sappiamo che Dio è vivo, presente e in azione! Con la Pentecoste sappiamo che per amore Dio non ci lascia mai più soli. Vogliamo pregare, perciò, perché i nostri cuori malati e freddi vengano raggiunti dal fuoco dello Spirito per essere purificati, sanati. Che realtà impegnativa il “fuoco”… Esso ha il potere di consumare tutto ciò che brucia e di bruciare le scorie delle nostre contraddizioni.
“Fuoco!” è la parola che Blaise Pascal aveva scritto su un foglietto custodito e ben cucito sotto il bavero della sua giacca. Il fuoco dello Spirito! Quello che, come nel Roveto ardente, brucia ma non si consuma. Il fuoco della presenza viva di Dio che ha la forza di accendere in ciascuno di noi una passione interiore, la sola capace di impedire l’ibernazione delle migliori intenzioni e dei migliori propositi, spesso congelati in attesa di un ‘poi’ che diventa ‘mai’.
Quel fuoco, la mattina di Pentecoste, trasformò quel gruppo di uomini paurosi in intrepidi testimoni. E, in quella stessa mattina, Maria, che aveva già ricevuto lo Spirito, era la profezia di una promessa che si sarebbe compiuta anche per loro.
Lei, tra i discepoli spaventati e affranti, era già testimone di una speranza che, in Cristo Risorto, sarebbe diventata patrimonio di tutti i credenti. Lei è in mezzo a loro e, nello stesso tempo, non smette nemmeno per un attimo di essere in Cristo. Perciò da allora prega incessantemente affinché ogni uomo sia toccato e reso nuovo dall’amore divino.
Il segno che anche noi siamo stati raggiunti dalla grazia di Dio sarà quello di scegliere, allora, di amare davvero e senza rimandi, esattamente lì dove ci troviamo. La Vergine Maria ci soccorra in questo: liberi il nostro cuore dall’orgoglio, cui siamo caparbiamente attaccati; lenisca le ferite, specie da quelle dalle quali inspiegabilmente non vogliamo guarire; ci incoraggi a cambiare, specie quando non attendiamo niente di nuovo; ci sproni ad attendere, a cercare e a incontrare il volto dell’altro per scoprire che in ogni fratello è il Signore stesso a donarmi e a chiedermi amore. Amen.
Cattedrale di San Severo, 18 maggio 2024
+ Giuseppe