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27 Settembre 2023

OMELIA DI S.E. MONS. GIUSEPPE MENGOLI IN OCCASIONE DELLA SOLENNITÀ DI SAN SEVERO VESCOVO 2023

Se si entra con Google in internet e si scrive nel motore di ricerca “San Severo” non si trovano, innanzitutto, notizie del santo, ma quelle legate alla storia e alla cronaca della nostra città o, al più, della nostra diocesi. Sembra quasi che la figura di questo santo scompaia per lasciare posto al nostro vissuto e alle nostre vicende. E del Santo si hanno solo poche tracce, data forse anche la sua lontananza nel tempo.

C’è, però, una possibilità che non vorrei trascurassimo, quella cioè che siano proprio la città e la diocesi a rimandare al Santo Vescovo di Napoli, Severo, all’attualità del suo messaggio e alla forza della sua testimonianza.

Omen nomen: dicevano i latini. Che questa Città e questa nostra diocesi abbiano per identificarsi solo il nome di questo santo è certamente un augurio ed è anche una grande responsabilità.

Un ulteriore ma necessario passaggio è quello che ci porta dal considerare quella odierna solo una ricorrenza religiosa e sociale a vivere, invece, questo appuntamento come una vera festa, che pur essendo legata alla storia, riguarda tutta la nostra comunità e, non di meno, ciascuno di noi.

Ma si può parlare di festa solo quando è coinvolto il cuore, quando ci si sente amati e si può condividere l’amore che si sperimenta con tutti, senza esclusione di alcuno. È tutto qui – lo sappiamo – lo spessore antropologico di una festa per un cristiano che, come affermava Turoldo, “non può sentire gioia alcuna che non sia di tutti”.

Il fondamento di un simile orizzonte ce lo affida il profeta Ezechiele quando ci ricorda lo stile di Dio.

“Cercherò le mie pecore”: dice il Signore. Si assiste qui ad un incredibile cambio di prospettiva: è Dio che cerca l’uomo e non innanzitutto l’uomo Dio. A volte pensiamo che la fede sia una scalata impossibile, troppo faticosa, troppo alta “che non fa per noi”, come avrebbe detto ne La stazione di Zima, un noto cantautore, che con rassegnazione dichiarava di preferire scendere dal treno piuttosto che camminare faticosamente verso Dio. Sì! Converrebbe scendere se fosse così, se dovesse dipendere da noi la possibilità assoluta di interagire con una trascendenza che si può, sì e no, solo intuire.

È, invece, Lui, il Signore, che fa la prima mossa, è Lui che ci raggiunge, è Lui che ci ama per primo e che proprio perché vuole rendersi presente nella vita di ognuno, ci cerca senza stancarsi, ci cerca personalmente, perché gli siamo cari. E ci cerca soprattutto nel momento del pericolo.

Noi gli apparteniamo e non permette che qualcosa o qualcuno ci allontani da Lui. Per questo non esistono luoghi a lui preclusi, nei quali Egli non sia in grado di raggiungerci.

Ci raggiunge nella nostra carne, nelle nostre relazioni, nei nostri traguardi, nel bene che riusciamo a fare, ma anche nelle nostre sconfitte e nel male che non vorremmo fare e che spesso purtroppo diventa più grande di noi. Ci raggiunge ovunque, facendosi carico del nostro vissuto in tutta la sua interezza.

Ecco il motivo per cui non ci vergogniamo più della nostra debolezza, dei nostri limiti, delle nostre contraddizioni. Esse, infatti, smentiscono la possibilità di potercela fare da soli e aprono il cuore ad una umile e fiduciosa richiesta al Signore affinché con la sua potenza compensi la nostra debolezza.

Gesù Cristo, così, senza merito da parte nostra, diventa il nostro vanto, la nostra protezione, la nostra forza. Egli, Risorto, vive oggi in chi lo accoglie. Vive nei santi. In coloro cioè che si sono lasciati trovare da Lui e hanno scelto di rimanere nel suo amore, quale vera perla preziosa della loro esistenza. Sì! Qui sta la discriminante: i santi hanno scelto, non si sono trovati a essere cristiani per tradizione o perché condizionati da un contesto sociale. Hanno scelto e, come hanno fatto loro, con la loro intercessione e con il loro esempio, spronano anche noi a scegliere senza paure e senza rimandi. E se ci trovassimo nella presumibile condizione di aver già scelto il Signore, i santi ci chiedono di scegliere di nuovo, perché nella fede, come nell’amore non può bastare la rendita di una scelta iniziale, sia pur sincera.

E oggi questa Città e l’intera diocesi si affidano a San Severo proprio perché accada questo.                                                                        

Non si arriva ai Santi senza desideri ed è realistico pensare che ciascuno di noi, anche stasera, abbia qualche piccola o grande richiesta da rivolgere al Signore attraverso l’intercessione di questo Vescovo santo.

Ma, tra i tanti desideri custoditi nel cuore di noi che siamo qui in preghiera, quello necessario che potrebbe aprire in noi nuove prospettive di fede è certamente quello di misurarci con lui per poi invocarlo. Sinceramente però.

Non sembri scontato, allora, che stasera dal nostro confronto con S. Severo, nasca l’unanime bisogno di riscoprirlo proprio così come la storia della chiesa di questa chiesa locale ce lo ha consegnato, cioè come Patrono.

Qual è il ruolo del Patrono?

Mi piace fare riferimento alla derivazione etimologica del termine ‘patrono’, che nella sua radice latina rimanda al concetto di ‘pater’. San Severo è patrono perché è padre nella fede ed è padre perché ci genera nella fede. Quella di essere generativi è una prerogativa dei santi perché vivono in intima unione con Dio, autore della Vita, perché seguono il Signore Gesù che è Vita e perché sono inabitati dallo Spirito che datore di Vita.

Il segreto della loro generatività non sta, allora, nelle loro capacità organizzative o nelle loro competenze dottrinali, che pure spesso non sono mancate, ma nel nudo fatto della loro fede che trasforma il credente in pura trasparenza dell’amore divino, un po’ come le finestre delle cattedrali gotiche che permettono alla luce del sole che passa di presentarsi a chi sta all’interno dell’edificio sacro con una spettacolare variazione di colori.

Aveva proprio ragione Ghandi, che – come ben sappiamo – era credente ma non cristiano, quando diceva di non credere in chi parla agli altri per convincerli a credere. La fede – diceva – si vive e spontaneamente come una lampada, senza sforzo, illumina chi sta vicino. La luce della fede dei santi però non è abbagliante, invasiva. In genere essa è delicata, rispettosa, viene donata in esuberanza e, nello stesso tempo, attende da parte di chi ne è raggiunto, un atto di fiducia, di affidamento. In questa prospettiva, perciò, è generato solo chi si lascia generare e si lascia generare solo chi intuendo l’importanza dell’incontro con il Signore vivo, non lo procrastina per accidia del cuore, si lascia generare solo chi scopre l’attualità e la decisiva importanza della portata evangelica che, se tocca realmente il vissuto e la capacità decisionale, ha il potere di aprire nuovi e insperati orizzonti di senso.

Ma lo ricordo ancora: tutto passa da un necessario atto di affidamento. Un atto troppo spesso precluso dal fatto che siamo intrappolati in mediocri e interessati atti di dipendenza verso i nostri simili o peggio verso le cose, capaci solo di dare speranze a medio termine. È duro ed è provocatorio Geremia quando afferma che è “maledetto l’uomo che confida nell’uomo…”.

Per contrasto a questa terribile maledizione stigmatizzata dal Profeta mi viene in mente ciò che diceva una delle prime sante martiri della storia della chiesa, quando le veniva imposto di abiurare la fede per avere salva la vita. Diceva: “La mia vita sarà di chi mi ha amata per primo!”. Dobbiamo stare attenti a chi affidare il senso della nostra esistenza, per non incappare in vicoli ciechi senza possibilità di ritorno.

Cos’è, quindi, la festa liturgica di San Severo?

È un’occasione da non sprecare per avere la conferma che la santità è possibile, per non indugiare su vie che sono un deragliamento rispetto all’invito che il Signore ci rivolge ogni giorno, per iniziare a tarare nel quotidiano il lento, faticoso ed appassionante cammino di santificazione personale e per scoprire che l’unica efficace e sicura possibilità di questo cammino è percorrerlo insieme.

È questo ciò che chiediamo umilmente e nella verità al nostro santo Patrono. Il suo sguardo di amore sulla nostra città e sulla nostra diocesi sia sempre il riflesso dello sguardo paterno di Dio.

Amen

+  don Giuseppe