30 Dicembre 2024
OMELIA DI S.E. MONS. GIUSEPPE MENGOLI IN OCCASIONE DELL’APERTURA DELL’ANNO GIUBILARE 2025 IN DIOCESI
Carissimi,
la tradizione della Chiesa, ogni 25 anni, ci offre l’eccezionale occasione del Giubileo, del quale si è fatto già un gran parlare. Ma cos’è esattamente? E soprattutto che ricadute può avere su di noi? È un anno reso straordinario non da eventi esterni, ma in ragione dell’evento stesso di Cristo che, dall’interno, ha dato una svolta definitiva alla storia, svelando quanto ogni uomo fosse prezioso agli occhi di Dio. “Siamo realmente figli di Dio”, ci ha ricordato Giovanni nella seconda lettura: il Giubileo, perciò, si fonda innanzitutto su questa certezza di fede! Abbiamo ricevuto un “grande amore” eterno e totale, tanto da poter dire con S. Gregorio Nazianzeno, che il Signore, nascendo a Betlemm, “è diventato completamente nostro” e che “sotto ogni aspetto noi siamo lui”. La vicinanza divina verso di noi, provata e sigillata poi sul legno della croce, è diventata attuale e universale con il dono dello Spirito. Il Giubileo, allora, è il tempo in cui ribadire proprio la certezza della prossimità divina, il cui smarrimento porta, invece, al vuoto esistenziale e al caos valoriale.
Il Giubileo, tuttavia, offre anche una speranza. Proprio per questo il Papa ha fortemente voluto che quello che è iniziato con lui la sera del 24 dicembre con l’apertura della Porta Santa nella Basilica di San Pietro a Roma e che oggi inizia ufficialmente in tutte le Diocesi del mondo, fosse il “Giubileo della Speranza”.
Questa speranza, però, non può essere proposta come una pallida ed improbabile proiezione verso un futuro migliore, destinata a scivolare nell’illusione, corrodendo presto ogni motivo di giubilo.
L’espressione “Giubileo della Speranza” va letta, piuttosto, nel senso che “è la speranza che giubila, è la speranza che fa gioire”. Se fosse, infatti, solo l’ingenua visione ottimistica di un futuro che manca sempre all’appuntamento fissato, avremmo ben poco da dire, a causa delle tante disillusioni personali e sociali, e ben poco da celebrare o da festeggiare, fino a dare quasi l’impressione che come Chiesa stiamo salvaguardando solo un’istituzione storica, sia pur solenne e universale. Se invece è la speranza cristiana a dare giubilo, si fa chiaro in noi che è proprio il Risorto la ragione forte della nostra gioia e, forse, solo allora avremo più possibilità di proporre un cambio di prospettiva a tutti coloro che hanno visto bruciare nella loro esistenza ogni loro desiderio, ogni loro progetto e che, per questo, pensano che sia finita.
Ma perché la speranza generi giubilo, essa deve essere scritta sul nostro volto… Non sono persuasive le speranze indirette! Il punto debole o forte del Giubileo non sarà, quindi, l’organizzazione, ma la forza di persuasione, il livello di profondità, l’incisività del nostro vissuto. Se mancano queste prerogative spirituali che sono, del resto, a fondamento della vita cristiana, saremo incapaci di stupore e di generare stupore e quella del giubileo sarà solo una gioia annunciata, ma non vissuta. A proposito di stupore, l’importanza di esso è ribadita per ben due volte nella pagina di Luca che abbiamo ascoltato: erano stupiti nell’ascoltare Gesù quelli che erano nel tempio ed erano stupiti Maria e Giuseppe al vederlo.
Ma chiediamoci ora se siamo davvero uomini e donne di speranza. È una domanda che scotta e che ci scomoda, come, del resto, lo sono quelle che ci interpellano sulla nostra fede e sul nostro amore. È evidente che la risposta non possiamo darcela da soli… il giudizio degli altri in questo è un parametro da non sottovalutare. La gente ha fiuto e si accorge subito di che pasta siamo fatti. Ma è importante non dimenticare che se non ci sentiamo persone capaci di sperare, di credere e di amare, possiamo ancora diventarlo. Il tempo ci è dato per questo. Il Giubileo viene per questo!
Si presentano davanti a noi, di conseguenza, due possibilità: o cedere allo scoraggiamento o alimentare la speranza! Quest’ultima possibilità dipende dalla consistenza della nostra fede e da come e se viviamo il quotidiano incontro con il Signore! Ecco perché da tutto il mondo, in tutte le cattedrali, con tutto il popolo di Dio, con tutti i presbiteri, insieme a tutti i vescovi e al papa, la scelta solenne, comunitaria è per tutti la scelta di pregare. La preghiera, infatti, è scuola di fede, scuola di speranza e scuola di amore e in essa, se lasciamo che Lui parli al cuore, vengono forgiate le decisioni più evangeliche.
Come la Vergine, siamo chiamati, però, a “credere nell’adempimento delle parole del Signore”, un adempimento promesso da Dio e desiderato anche solo inconsciamente da ogni uomo, un adempimento che sarà il fondamento della nostra felicità e, soprattutto, un adempimento in grado di colmare tutte le attese migliori della storia, da quelle planetarie, legate alla giustizia e alla pace, fino a quelle che ognuno di noi custodisce nella sua interiorità.
Come trascorrere nel migliore dei modi questo Giubileo? Dietro questa domanda si nasconde, in realtà, una domanda ancora più impegnativa: come alimentare in noi la speranza?
Con la Chiesa intera percorreremo tre vie, tutte e tre collegate…
La prima via sarà quella di celebrare la speranza. La alimenteremo, celebrando il Giubileo, celebrando, cioè, come stasera, l’azione del Signore, cui spetta sempre il primato. La speranza va celebrata e va celebrata solennemente, perché ogni celebrazione sacramentale, e soprattutto quella eucaristica, è il momento in cui Egli si dona totalmente ed è il momento in cui noi, dopo aver ascolto e accolto la sua Parola, Gli affidiamo la nostra volontà, scegliendo di vivere con Lui, in Lui e per Lui.
Nelle celebrazioni il giubilo di ciascuno è proporzionato evidentemente a quanto ci lasciamo raggiungere dalla luce della grazia. Ecco perché le modalità esterne e comunitarie di celebrare il Giubileo, come quella che vistosamente stiamo vivendo questa sera, non dovrebbero farci mai dimenticare quelle famose “solite condizioni” interiori che la tradizione della Chiesa ci affida e che sono tutte mirate ad avvicinarci al Signore, a noi stessi (fatica non secondaria) e, non ultimo, agli altri. Cuore di queste “solite condizioni” sarà la confessione sacramentale, dalla quale non possiamo prescindere per un autentico cammino di fede. Sarà quello il momento in cui sentiremo l’abbraccio di misericordia del Padre, avvertiremo la forza della presenza dello Spirito che finalmente spezzerà le catene che intrappolano; lenirà il dolore delle ferite più nascoste, guarendole; annullerà le eventuali e pericolose doppiezze; vincerà le innegabili paure. Ritroviamo un confessore stabile, riscopriamo la confessione. È troppo importante, carissimi!
La seconda via sarà quella di vivere la speranza.
Questo anno di grazia, lo sappiamo, era tanto atteso già dal popolo ebraico per le sue ricadute sociali. Anche noi non dovremmo trascurare di guardarci attorno per accorgerci delle non poche situazioni che in diversa misura ci toccano e che attendono l’ora della liberazione. Una liberazione che non possiamo più rimandare all’infinito. Basta pensare al desiderio di pace, implorato da tutti, per i popoli nei quali imperversano i conflitti; pensiamo al ‘famoso’ debito pubblico delle Nazione povere… di cui però nessuno parla più; pensiamo alla necessità di rompere le strutture ingiuste del sistema capitalistico che rende i poveri sempre di più e sempre più poveri e i ricchi sempre di meno e sempre più ricchi. Pensiamo al volto dei poveri in un certo senso riconosciuti, quasi istituzionalizzati e ghettizzati, che con un termine superficiale e quanto mai generico definiamo ‘immigrati’. Essi sono accanto a noi, ma sono lontani da noi. Pensiamo a chi offre subdolamente traguardi facili (come le sostanze stupefacenti) che però ben presto diventano dei veri buchi neri che senza via d’uscita fagocitano i sogni, la dignità e perfino l’esistenza di chi, per disperazione o per debolezza, si lascia illudere. Pensiamo ai tanti ragazzi che, pur vivendo una stagione bellissima, sono in balia di rischi troppo alti, primo fra tutti l’evasione scolastica, e che, proprio per questo, meritano le nostre attenzioni, la nostra cura, il nostro amore. Pensiamo ai nostri fratelli carcerati, in attesa anche loro di una liberazione che finalmente li inserisca di nuovo nella società e li riconsegni agli affetti dei loro cari.
Ma, oltre e prima di tutto ciò, non dobbiamo trascurare le prioritarie ricadute di questo anno di grazia sui nostri vissuti. Se vogliamo assaporare la libertà tanto agognata e vivere il giubileo dovremmo imparare, innanzitutto, l’arte del perdono, poi il coraggio di perseguire a tutti i costi la giustizia, anche pagando di persona, e, non ultimo, l’audacia di porre dei segni evidenti di novità evangelica. Qui l’impegno di ognuno di noi, l’impegno delle nostre comunità e della nostra diocesi è lungo e mai terminato. Anzi, è appena appena agli inizi. Ed è direttamente proporzionato alle risposte che riusciremo a dare con tempestività rispetto alle sfide che ogni giorno ci giungono come inderogabili appelli. Un primo segno per la nostra Diocesi di San Severo sarà il Consultorio familiare, il cui obiettivo sarà quello di creare una rete di solidarietà a sostegno delle tante famiglie in difficoltà presenti sul nostro territorio. Tra loro, forse, c’è la famiglia vicina di casa o quella che si affaccia sul nostro stesso pianerottolo. Forse, la nostra. Quella nella quale viviamo. Sì! Come Diocesi vogliamo partire da lì. Perciò, chiedo a tutti voi, presbiteri e laici, di accendere le antenne e di cogliere i bisogni che sono nei nuclei familiari che conosciamo e di farcene carico.
Ecco il messaggio che come Chiesa, anche attraverso il Giubileo, la nostra Chiesa locale vuole dare: il Giubileo si vive in famiglia, perché ogni famiglia è motivo di giubilo, se è vero che in essa si celebrano insieme l’amore di Dio e l’amore umano.
La terza via sarà quella di annunciare la speranza.
Non può essere la prima mossa. Come vedete, delle tre tappe, è l’ultima. Perché la prima forma di annuncio è e continuerà ad essere la nostra testimonianza. Non si tratterà, allora, di moltiplicare gli incontri di catechesi, che pure sono necessari, ma di moltiplicare la nostra gioia e di chiederci se in essa siamo davvero credibili, perché non ci capiti mai di sentire rivolta a noi l’amara considerazione di Ignazio Silone che, quando scrutava il volto di alcuni cristiani, diceva che essi “attendevano la seconda venuta del Messia, con la stessa indifferenza con la quale si attende un autobus alla fermata”. Viviamo, quindi, sì, ma moltiplichiamo le occasioni formali e informali in cui raccontare con entusiasmo la nostra esperienza di fede, la nostra conversione, i tratti della novità della nostra vita. E, soprattutto, per annunciare la speranza, poniamoci come segno di speranza e impariamo a riconoscere i tanti segni di speranza che sono già presenti nelle nostre comunità.
Un’ultima considerazione. In questo anno giubilare il nostro modello sarà la Sacra famiglia. La scelta da parte di Maria e di Giuseppe di mettere al centro Gesù ci fa comprendere una cosa molto semplice: quanto più metteremo al centro il Signore, più saremo famiglia, più saremo uniti. Quanto più Egli sarà decentrato o, addirittura assente, tanto più saremo divisi. La nostra comunione sarà la cortina di tornasole con la quale verificheremo il nostro cammino giubilare. E la comunione si nutre di verità e di misericordia, quelle che imploriamo e riceviamo costantemente da Dio. Ma con la stessa prontezza con la quale le riceviamo, dovremmo essere pronti a donarle anche noi.
Ognuno di noi, in quest’Anno Santo, ispirandosi ai numerosi Cantici presenti nella Sacra Scrittura, trovi le note del cuore con cui cantare al Signore la sua gioia e si lasci ispirare da Maria, la donna del Magnificat, per magnificare il Signore e per esultare in Dio con la stessa vita.
Maria, Madre di Speranza e fonte della nostra gioia, prega per noi. Amen
San Severo, 29 dicembre 2024
+ don Giuseppe, vescovo