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16 Luglio 2024

Sistole e diastole della democrazia (note al margine della 50ᵃ Settimana Sociale)

Tutti conosciamo le due funzioni vitali del cuore. E, come al solito, dalle leggi biologiche si impara molto. Tanto che lo stesso papa Francesco ha fatto riferimento proprio al cuore per parlare della democrazia e ha fatto concentrare l’attenzione dei convegnisti sul “cuore ferito” e sul “cuore risanato” di essa.

Mi permetto di far scaturire qualche fugace riflessione da ciò che ci insegna magistralmente la natura.

Ascoltando il cuore… un cuore vivo, si registrano i suoi due movimenti vitali: la diastole che è la fase nella quale questo muscolo si rilassa e si riempie di sangue e, subito dopo, la sistole, quando esso si contrae e pompa il sangue nelle arterie.

Ecco di cosa ha bisogno la democrazia, se assomiglia al cuore e se ha un cuore…

La diastole innanzitutto. La democrazia, infatti, non è una condizione sociale che può prescindere dalla storia in cui è inserita e dalla fatica delle responsabilità di tutti i cittadini, non può nemmeno privarsi di un condiviso fondamento valoriale che faccia evitare arbitrii vari. Essa ha bisogno di nutrirsi della vita di tutti e di tutta la vita e, per questo, accoglie tutto ciò che le serve per la sua sussistenza e per un’efficace incidenza nella storia di un territorio.

Ma da dove incomincia l’impegno democratico di un cristiano? Come può influire la fede personale su un concreto sistema sociale senza dare l’impressione di voler scivolare in vuoti e rassicuranti spiritualismi o di voler accontentarsi di un’acritica e rassegnata accettazione dello status quo?

Il serio rischio di collocare il Signore in una postazione secondaria, marginalizzandolo e sottintendendolo rispetto alla fatica del vivere quotidiano o dell’organizzazione di esso, è alto.

È vero che non sarebbe sano e realistico ipotizzare una teocrazia, ma non dovremmo nemmeno consentire che il “Signore della storia” stia a guardare, sia pure dalla tribuna d’onore, la scena di questo mondo, gestita unicamente da una regia tutta nostra.

A prescindere dai contesti sociali, è dovere del cristiano accogliere chi può dare una chiave di lettura e un senso spesso latente all’intera esistenza, perché l’organizzazione della propria vita e della vita altrui non patisca di miopia. Sarebbe, altrimenti, come la rete di un ragno che, pur paventando le geometrie perfette e simmetriche della sua ragnatela, non fosse agganciata in maniera sicura e ferma al ramo dell’albero. Non si dà una democrazia sospesa, senza un fondamento che prescinda dall’antropologia cristiana. Sì, il credente, anche in questa fase, è chiamato ad accogliere il Signore Gesù che è “via, verità e vita”, poiché Egli è venuto per stare “al cuore” del “demos”, del popolo, così come ci insegna la Rivelazione e non può retrocedere dal ruolo che gli compete in quanto Dio.

Ora, però, va chiarito che non basta possedere e difendere i principi della dottrina sociale della Chiesa per sentirsi apposto. Non è questione di principi innanzitutto, ma di essere segno e rimando della relazione viva con Lui, la sola capace, quando è vera, matura e gioiosa, di riaccendere il fuoco interiore, la passione per gli altri e per il bene di tutti.

Chi si avventura a raggiungere il cuore della democrazia non può sostare solo sull’organizzazione delle strutture, né sulla ridefinizione dei principi, ma dovrebbe verificare costantemente, a partire dalla fonte d’amore che abita il cristiano, quanto è autentica la cura verso gli altri, che non dovremmo mai dimenticare di chiamare ‘fratelli’. Questa è la più ardua sfida immediata che si impone. Questa è la nostra sfida, la mia…

Il rapporto con il Signore, infatti, non è ideologico o valoriale, tanto da ridurre il vangelo a una mappa orientativa delle azioni personali e collettive. Al fondo della fede c’è sempre e solo l’accoglienza della presenza viva del Signore e, di conseguenza, la relazione con Lui, che è una relazione fondante per l’intera esistenza personale e sociale.

La fede, quindi, non si colloca mai al margine, ma diventa centrale e decisiva per le scelte etiche che ne conseguono. Prima gli “otri nuovi”, poi il “vino nuovo”. Prima la relazione con Lui da non trascinare stancamente, come un dato acquisito, ma da vivere come una sorta di sorgente interiore da cui attingere forza e poi l’impegno di radicarsi e di spendersi in un contesto sociale con uno stile democratico.

Sempre nel momento della diastole è necessario, tuttavia, saper accogliere anche ciò che ci dona la storia quotidiana con le sue potenzialità e, non di meno, con le sue contraddizioni. Non è facile ed è tutt’altro che scontato avere il ‘sentire’ di tutti. Gli altri non vengono dopo di me, ma insieme a me. E degli altri mi appartengono anche le crisi, che bisogna saper abitare.

Questa semplice regola ha un potere rivoluzionario e destrutturante rispetto a molte delle norme che regolano in maniera selettiva la convivenza sociale.

Nel momento della diastole, allora, la storia e il Signore si incontrano di nuovo nella coscienza di ognuno, lì dove lo Spirito di Dio può iniziare la sua paziente opera di purificazione e di guarigione dei pensieri e della volontà, sempre segnati purtroppo dalla immediata ricerca del proprio interesse.

Senza questa fase, l’affermazione dei principi della democrazia e la difesa del suo apparato valoriale rischiano di patire di anonimato e sono indeboliti nella loro pur necessaria valenza profetica.

Se la diastole patisce atrofie, il movimento successivo del cuore sarà debole e non raggiungerà tutto l’organismo per dargli vita. La sistole, infatti, eroga, dona al corpo intero solo ciò che ha ricevuto, solo ciò che ha. Essa ha una funzione necessaria al corpo; ecco perché non sono ammesse spinte deboli, affaticamenti, stanchezze o aritmie.

Quanta forza ha questo cuore?

Le parti non raggiunte dal sangue purificato dal cuore entrano in necrosi. Il corpo sociale o vive tutto o altrimenti ha già in sé i segni di una morte imminente. Per un sano sistema democratico non valgono, di conseguenza, i circuiti chiusi e protetti, le selezioni etniche o confessionali, la gerarchizzazione delle persone o delle classi sociali. In democrazia e, ancor più, nel vangelo tutti valgono quanto uno e uno vale quanto tutti. Nessuno escluso.

Il punto ora è che il cuore della democrazia è proprio in ciascuno di noi, lì dove è facile veder nascere all’ordine del giorno compromessi e deroghe ad un sano stile democratico. In essa non sono ammesse visioni generiche e comode soluzioni da tavolino. La storia ci insegna infatti che le vere sfide per essere credibili non possono essere esposte ai quattro venti o sulle veloci vie del web con i verbi all’infinito. Martin Luther King non ha detto: “è importante avere un sogno…”, ma “io ho un sogno” e per quel sogno ha dato la vita. Così si scrive e si costruisce la democrazia!

Se non si arriva coraggiosamente a coniugare i verbi in prima persona singolare, il rischio è che si faccia accademia… e che non si avvii alcun processo di conversione personale. La conversione personale, infatti, precede sempre ed è l’inequivocabile presupposto di ogni cambiamento sociale. E anche qui vale la regola che uno può proporsi maestro solo se prima è riconosciuto come testimone.

La fretta dell’esodo, la passione di Gesù, lo zelo dei santi ci insegnano che tra la diastole e la sistole non devono esserci pause. La flemma dei benpensanti, lo stile sempre equilibrato dei saggi è già un atteggiamento perdente in partenza. Dice già scarso livello di motivazione. Se non ci si lascia raggiungere dall’urgente attesa dei piccoli che ci sono accanto, ogni momento riflessivo è solo elucubrazione per dotti.

Non abbiamo bisogno della descrizione del fuoco, ma del fuoco stesso!

La nostra vita non smentisca i principi di solidarietà e di uguaglianza che professiamo. Aveva ragione Ghandi quando affermava: “Io non ho messaggi da lanciare al mondo; il mio messaggio è la mia vita”.

San Severo, 16 luglio 2024

+ don Giuseppe