Quella notte che don Canelli passò in prigione
Chiunque, tra la gente del luogo e fuori città, avesse la fortuna di conoscere don Canelli restava fortemente attratto dalla sua personalità: uomo dalla statura minuta ma forte come un leone nell’alzare la voce (segno di uno spirito forte che non ammetteva compromessi) per difendere i più bisognosi; sorridente e premuroso verso gli anziani abbandonati ma tenace e coraggioso nel tutelare i diritti calpestati dei contadini e nello sciogliere le più disparate questioni della vita cittadina; tenero e sensibilissimo verso i bambini poveri e gli malati ma impavido e battagliero come l’Arcangelo per difendere Dio, la Chiesa, i poveri. Sì, pochi giorni dopo la sua morte, fu proprio definito così: un “san Michele”. Verso la fine degli anni Venti, pur con l’avvenuta firma dei Patti Lateranensi (11 febbraio 1929), i contrasti Chiesa-Stato si inasprirono nuovamente quando Mussolini privò la Chiesa della libertà di educare i giovani nei circoli di Azione Cattolica e ne decretò lo scioglimento il 29 maggio 1931. Don Felice ne era veramente rattristato: avevano già soppresso tutti i gruppi scout della Capitanata di cui era stato l’assistente ecclesiastico provinciale per alcuni anni (1925-1927) e quello di San Severo “Esploratori Don Bosco 1”, il primo gruppo scout della regione (1919) da lui promosso e nato all’Oratorio Salesiano. Visti i divieti, all’insaputa del regime fascista, egli incontrava i suoi giovani nelle cantine o per strada fingendo di passeggiare. Avvenne che un giorno fu proibito ai circoli cattolici di partecipare ad una processione mariana. Essi però, senza indossare il distintivo dell’Azione Cattolica, la organizzarono ugualmente davanti alla Cattedrale acclamando alla Madonna del Soccorso, al Papa, al Vescovo. Tanti soci vennero ingiuriati e perseguitati. Don Felice venne denunciato dal Commissario di Pubblica Sicurezza al Pretore. Il giorno dell’udienza tutti gli amici dei partiti non fascisti erano pronti a difenderlo. Ma il Commissario non si presentò e il Pretore lo mandò via senza discussione. Il fascismo però si inasprì: fece chiudere le sedi e requisire i verbali associativi. Il 13 giugno 1931 don Canelli distribuì in città il discorso del Santo Padre del 19 aprile alle associazioni cattoliche romane in difesa della loro legittimità e la lettera del 26 aprile del Cardinal Schuster a tutela del movimento. Sapeva di rischiare contravvenzioni e ritorsioni, ma si trattava di obbedienza al Papa ed egli non indietreggiò. In seguito, dopo essersi confrontato con il Vescovo, in piena libertà e da forte, si presentò alcommissariato di polizia a pagare la contravvenzione per la distribuzione di tale materiale come lesivo all’ordinamento nazionale e venne trattenuto per una notte in prigione da parte della polizia di Stato. Pur in prigione don Canelli restava un uomo intimamente libero. Con profonda convinzione e serenità non si tirò indietro testimoniando con fede inespugnabile ciò per cui viveva ed era pronto a morire. Sapeva che per trasmettere agli altri, vicini e lontani, le verità della fede era assolutamente necessario viverle e testimoniarle in prima persona. Credeva profondamente che la parola può convincere, ma l’esempio trascina sempre.
Sr Francesca Caggiano
La vice postulatrice